Indagine UE sui siti di e-commerce. Il 55% ha gravi irregolarità

L’Unione Europea ha pubblicato i risultati di una indagine relativa a pubblicità ingannevole e pratiche sleali svolta su scala UE su 369 siti di commercio elettronico che vendono elettronica di consumo.

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Dal risultato dell’indagine, svoltasi a maggio 2008, ne emerge che oltre la metà dei siti presi in considerazione non rispetta le norme a tutela del consumatore:  mancanza di informazioni di contatto, informazioni incomplete o errate sui diritti dell’acquirente, costi nascosti che incidono sul prezzo complessivo del prodotto, etc.

Dei 17 siti italiani presi in considerazione, 6 sono risultati non conformi. Per una volta l’Italia è messa meglio della media europea con una ‘solo’ il 35% di siti irregolari.

Meglena Kuneva, Commmissario Europeo responsabile per i diritti dei consumatori, ha dichiarato che sono stati presi di mira i siti relativi a prodotti elettronici (macchine fotografiche, cellulari, lettori mp3 e DVD, etc) in quanto un terzo delle denunce presentate ai centri europei di difesa del consumatore in tema di e-commerce riguardano proprio l’acquisto di apparecchiature elettroniche.

L’indagine nel dettaglio

La base d’indagine è stata il rispetto delle seguenti norme UE:

Su 369 siti esaminati sono risultati irregolari 203. I problemi maggiormente riscontrati sono stati:

  • Informazioni incomplete, sbagliate o mancanti relative ai diritti dell’acquirente: su ben 131 siti è stato riscontrato il problema
  • Informazioni ingannevoli o incomplete sul costo totale del prodotto: 93 siti
  • Mancanza di informazioni sul venditore: 65 siti

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Azioni da intraprendersi

Al momento solo tre paesi UE (Islanda, Lettonia e Norvegia) hanno reso pubblici i nomi dei siti fuori norma.

I commercianti non in regola, in una prima fase, saranno chiamati dalle relative autorità nazionali a chiarire la loro posizione e a intraprendere azioni volte alla risoluzione dei problemi identificati.

Un documento sui risultati di questa prima fase sarà reso pubblico, nelle intenzioni della Commisione, entro metà del 2010.

Interessante notare che di questi 203 casi, 27  sono stati definiti “cross-border” cioè transfrontalieri: riguardano ad esempio siti che hanno sede in una nazione ma vendono in un’altra.

Questo dato fa luce su due punti:

  • la necessità di una maggiore cooperazione tra le autorità delle singole nazioni per risolvere questi problemi
  • la ancora ridotta diffusione di un commercio elettronico transfrontaliero in Europa, nonostante l’abolizione di dazi e frontiere. Da un report della Commisione del Marzo 2009 risulta infatti che solo il 7% degli acquirenti e-commerce compera all’estero e solo il 21% degli esercenti vende all’estero. Dimostra tuttavia anche che, una volta rimossi i principali ostacoli (lingua, costo delle spedizioni, normative nazionali, etc) vi sarebbero consumatori disposti ad acquistare all’estero se il costo minore lo giustificasse.

Risorse

il sito web della indagine “Electronic Goods Sweep”

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