Web tax. Pasticcio Italiano. Parte seconda: imposta sui redditi o sui consumi?

[ Leggi la prima parte: Web tax. Pasticcio italiano. Parte prima: le imposte sui consumi ]

I margini di manovra, per il governo italiano, di intervenire sull’IVA che è regolamentata da direttive UE, sono minimi.

Forse per questo ne è saltato fuori un pasticcio che poco risolve e molto fa arrabbiare. E molto si espone a demagogiche cavalcate a favore o contro questa imposta, da parte di chi poco ha voglia di approfondire e molta voglia di parlare per slogan.

I soggetti passivi che intendano acquistare servizi di pubblicità e link sponsorizzati on line anche attraverso centri media e operatori terzi sono obbligati ad acquistarli da soggetti titolari di una partita IVA rilasciata dall’amministrazione fiscale italiana

Questo è fondamentalmente il testo della Web Tax, così come emerge dal bollettino della V Commissione Parlamentare di martedì 17 dicembre http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/bollettini/pdf/2013/12/17/leg.17.bol0144.data20131217.pdf

Scompaiono 2 criticati passaggi presenti nella precedente proposta approvata precedentemente. La “vittoria di Renzi” consiste nella eliminazione di queste righe:

1. I soggetti passivi che intendano acquistare servizi on line sia mediante operazioni di commercio elettronico sia diretto che indiretto, anche attraverso centri media e operatori terzi, sono obbligati ad acquistarli da soggetti titolari di una partita IVA rilasciata dall’amministrazione finanziaria italiana.

2. Gli spazi pubblicitari on line e i link sponsorizzati che appaiono nelle pagine dei risultati dei motori di ricerca (servizi di search advertising), visualizzabili sul territorio italiano durante la visita di un sito internet o la fruizione di un servizio on line attraverso rete fissa o rete e dispositivi mobili, devono essere acquistati esclusivamente attraverso soggetti, quali editori, concessionarie pubblicitarie, motori di ricerca o altro operatore pubblicitario, titolari di partita IVA rilasciata dall’amministrazione finanziaria italiana. La presente disposizione si applica anche nel caso in cui l’operazione di compravendita sia stata effettuata mediante centri media, operatori terzi e soggetti inserzionisti. »

In parole più comprensibili ora la Web Tax ora si concentra solo su Google. Ma rimane un pasticcio.

Sull’IVA la Web Tax è un gioco a somma zero

Nel testo della proposta di legge ho messo in grassetto acquistare soggetti passivi. Questi sono i due punti critici.

Acquistare: non potendo obbligare legalmente Google a prendere un a P.IVA italiana si obbligano tutti gli operatori italiani a limitare le proprie possibilità di acquisto e commercio.

Soggetti Passivi: soggetti passivi sono le imprese. E quindi una norma relativa alle transazioni B2B, tra imprese. Ma un soggetto passivo (una impresa) che acquista da Google per la sua attività ha diritto a detrarre l’IVA. Per questo motivo le transazioni tra Google e i ‘soggetti passivi’ vengono già svolte in modalità di reverse charge cioè Google NON applica alcuna IVA a queste transazioni. E’ l’acquirente (il soggetto passivo italiano) che dovrà autofatturarsi riportando l’IVA italiana in questa fattura intestata a se stesso. Questa IVA, tuttavia, essendo detraibile (in quanto relativa ad acquisti per attività di impresa) non dovrà essere versata (o meglio: dovrà essere compensata con l’IVA a debito). Dovrà altresì effettuare una comunicazione chiamata INTRASTAT in cui comunica i soggetti della transazioni. le relative P.IVA e gli importi. Tale comunicazione serve agli stati per monitorare appunto le transazioni business to business.

L’obbligo di P.IVA per Google quindi, teoricamente, dal punto dell’IVA è un gioco a somma zero. Se infatti ora Google nelle transazioni B2B non applica l’IVA, non la incassa e non la versa allo Stato Italiano, dopo la Web Tax la applicherà la incasserà la verserà ma le imprese italiane titolari di P.IVA la scaricheranno e quindi ridurranno di pari entità i propri versamenti.

Certamente questa legge non risolve il problema del differente trattamento fiscale di servizi acquistati dal consumatore finale per servizi acquistati da Google o da altri operatori italiani. Questa è una legge che riguarda le transazioni B2B e quindi  l’utente finale che acquista hosting in USA continuerà a non pagare l’IVA e quello che continua ad acquistare giochi sull’App Store continuerà a pagare IVA incassata dall’Irlanda.

La tassazione dei profitti

Altre quindi possono essere le motivazioni di questa legge: prima fra tutte quella di assoggettare i profitti dei colossi alla tassazione italiana come peraltro sembra confermato leggendo il testo della proposta di legge (http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/stampati/pdf/17PDL0012550.pdf) :

La presente proposta di legge, di modifica del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, mira a tassare i profitti di società estere, derivanti dalla fornitura di servizi per via telematica (on line) sul territorio dello Stato a soggetti passivi (business to business, definito anche B2B).

Ma i redditi (a differenza dei consumi) devono essere tassati nel luogo dove vengono prodotti e non nel luogo dove ne avviene il consumo.

Una affermazione differente sarebbe un proclama di autarchia e di vetero e bieco protezionismo. Perché allora non tassare anche i redditi della BMW o della Nikon o della Microsoft? Non sono tutte queste aziende che producono beni o servizi consumati in Italia?

E infatti il testo della proposta di legge prosegue affermando:

La ratio è quella di contrastare l’evasione fiscale tipica delle transazioni on line, intese come commercio elettronico diretto o indiretto che, com’è ormai noto, sfuggono al regime di tassazione dei Paesi dove, in effetti, vengono fruiti i beni o i servizi venduti e sui quali, quindi, si producono ricavi.

Una semplice domanda sorge: stiamo parlando di tassare redditi o di consumi?

Se la risposta è la prima allora la Web Tax è un ritorno al mercato chiuso, a una politica economica lontana anni luce dal liberismo che può creare giuste ritorsioni da parte degli altri Stati. Se la risposta è la seconda allora, come ho scritto sopra, non è questa la soluzione giusta.

Effetti negativi

Al di là delle possibili ritorsioni di tipo commerciale da parte di altri Stati, al di là del rallentamento di crescita economica introdotto da azioni di protezionismo (meno concorrenza, meno stimolo), questa legge può introdurre effetti negativi immediati sulle aziende italiane che operano sul web.

Sono titolare di una Web Agency che acquista un 70% di servizi dall’estero e li rivende in Italia, con regolare fatturazione e applicazione dell’IVA. Per via del meccanismo della reverse charge, per cui non ho poca IVA da detrarre, verso molta IVA. In alcuni casi la mia agenzia offre ai clienti un semplice servizio di re-billing: acquistando e rifatturando al cliente servizi acquistati intra ed extra UE, prendendosi così carico di tutte le pratiche di autofatturazione e comunicazioni INTRA necessarie all’operazione.  E versando IVA alle casse dello Stato. Ma il mio lavoro potrebbe diventare fuori legge per via della Web tax.

Posso quindi riportare ad esempio due effetti altamente negativi che la Web Tax potrebbe avere.

Effetti per assurdo di questa legge

Google decide di rinunciare alla P.IVA italiana: Quasi certamente ciò non accadrà. Ma se succedesse i centri media e le agenzie italiane partner di Google non potrebbero più svolgere la propria attività con conseguente caduta del gettito fiscale.

Le Web Agency che acquistano server in USA per frazionarli e venderli ai propri clienti, fatturando in Italia: non potranno più farlo. Però il cliente finale (privo di P.IVA) potrà sempre acquistare servizi di hosting negli Stati Uniti, risparmiando sull’IVA. Ancora più difficile diventerà la concorrenza tra operatori nostrani e operatori oltreoceano.

Appare quindi necessario che il problema della tassazione dei servizi e venga affrontato al più presto in un ambito più ampio. Così pure può essere affrontato il problema dei paradisi fiscali dove grandi aziende possono eludere la tassazione sui redditi. MA in un mondo globalizzato sono questioni che dovrebbe essere studiate a livello internazionale e, come minimo, comunitario.

Diversamente si creano pasticci che poco risolvono dal punto di vista fiscale e molto si espongo a proclami propagandistici a favore o contro ‘la Rete’.

Per approfondire:

http://europa.eu/legislation_summaries/taxation/l31057_it.htm

http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/stampati/pdf/17PDL0012550.pdf

Ringraziamenti

Ringrazio il mio amico, mio compagno di studi e mio commercialista Luigi Palmieri per l’aiuto che mi ha dato nel districarmi tra i vari aspetti tecnici dell’argomento trattato.


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